Fase 2, poi Fase 3. Si riapre, certo. Anzi no, è di nuovo chiusura. Il Coronavirus avrà anche cambiato qualche abitudine degli italiani, ma non ha cambiato la forma mentis di governo e istituzioni sul gioco.
Ad oggi c'è una data, a termine della deadline fissata dall'Esecutivo: il 15 giugno il mondo dei giochi avrebbe dovuto riaprire le sue porte dopo tre mesi di lockdown, su tutto il territorio nazionale. Cosa è successo? Dopo sette giorni di dibattiti e discussioni, ci si aspettava una svolta alla fine del weekend, ma non è stato così. Anzi, la situazione per il gioco pubblico è drasticamente peggiorata.
Alla fine, dopo mesi di rimbalzi, la palla è finita nelle mani dei governatori delle Regioni, a cui è stato dato il diritto/dovere di provvedere e disciplinare la riapertura dei locali di intrattenimento e di riattivazione dei vari prodotti e servizi nei pubblici esercizi. Ne sono conseguite delle situazioni del tutto anomale e, in alcuni casi, irrazionali. Questo non ha fatto altro che rilanciare l'ormai annosa questione territoriale, con leggi e normative emanate dall'Esecutivo e con ogni Regione che applica poi una sua normativa specifica. Se non esistesse questa situazione di dualismo, probabilmente non si assisterebbe a certe scene.
Così qualcuno ha riaperto effettivamente il 15, altri invece hanno allungato il lockdown. Si pensi al Lazio di Zingaretti, che riaprirà i luoghi del gioco pubblico soltanto dal 1 luglio, quindici giorni dopo la maggioranza delle regioni. Così come c'è chi ha fatto anche peggio, col Trentino-Alto Adige che ha sospeso per un altro mese le attività da gioco, considerano la riapertura dal prossimo 14 luglio. Insomma, il tutto mentre scorre la normalità e la fase 2 non è praticamente mai esistita. Nel giro di due settimane si è passati dalla quarantena al liberi tutti, ma per il gioco questa condizione non è stata presa nemmeno in analisi.
Questa situazione così frammentata non fa altro che riportare in auge i mali dell'amministrazione sul gioco, di certo non il massimo per efficienza. Neanche quando c'è in gioco la salute dei cittadini. Per un stereotipo di fondo, pare che nessuno rischi quanto rischiano i giocatori. Qui si parla di contagio, si badi bene, e non di altro. Tuttavia c'è una piccola parte dell'industria che riparte, ma lo fa da sola, abbandonata a se stessa e in un contesto in cui non si fa altro che sperare che vada soltanto meno peggio di come va. Alcuni, fino alla serata di domenica, sono stati a lavoro senza alcuna certezza, per riattivare le sale e adeguarsi ai protocolli di sicurezza.
Ci si è messa poi anche l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che ha messo a dura prova la capacità di resistenza e resilienza degli operatori con la pubblicazione dell'ultima determinazione direttoriale. A combattere, in questo marasma infinito, i soli operatori di gioco che hanno tentato di fare il loro meglio in una situazione che peggiore non potrebbe essere. Offrendo peraltro un servizio a cui viene perennemente inserito un bastone tra le ruote.
Assente ingiustificata, ancora una volta, la politica. La stessa che sostiene di avere a cuore il gioco d'azzardo. Restano così, soli ma in prima linea, i lavoratori e i dipendenti del settore, che faranno la loro parte come hanno sempre fatto. Il Covid-19 del resto avrà migliorato qualcosa, ma ha decisamente peggiorato altro.